di Federica Francesconi – Con l’instaurazione in Italia e in buona parte del mondo occidentale di una dittatura sanitaria infinita sta sempre più prendendo piede l’idea che si può rinunciare senza troppi rimorsi alla libertà dei singoli e dei gruppi e che, anzi, sia eticamente necessario farlo per preservare la salute pubblica.
Siamo davanti a una deviazione in senso totalitario del concetto di libertà, inteso come equilibrio tra le istanze del singolo individuo e dei gruppi da una parte, e quelle della collettività dall’altra, concetto che si è affermato nel pensiero filosofico occidentale almeno dalla seconda metà del XVIII secolo. Eppure, nonostante una tradizione filosofica plurisecolare e una prassi politica ben radicate, negli ultimi 20 anni l’idea di libertà come principio superiore che media tra gli interessi dell’individuo e quelli della collettività, è stata progressivamente attaccata da più fronti e sempre con maggiore violenza, almeno a partire dall’11 settembre 2001 fino all’attuale deriva totalitaria di una dubbia emergenza sanitaria.
Ma da dove deriva l’idea che la libertà dell’individuo vale meno degli interessi della collettività, e che quindi può essere sacrificata laddove si presenti un qualsiasi pericolo che minaccia la sicurezza pubblica? Si tratta di un’idea di importazione cinese, a sua volta influenzata dall’ideologia comunista che alle soglie del XXI secolo connota ancora sia la forma mentis che la prassi politica della classe dirigente di quel paese, e che a sua volta affonda le sue radici in un preciso modello sociale: il collettivismo. Esso è un modello di società in base al quale i diritti del singolo cittadino hanno minore valore di quelli della società presa nel suo insieme. Ora, dal momento che in Cina non esiste una società così come viene concepita in Occidente, cioè come un coacervo di interessi pubblici e privati, in quanto essa nel pensiero collettivista si identifica con lo Stato, che a sua volta coincide con il partito unico, il PCC o Partito Comunista Cinese, che da più di 70 anni guida la politica cinese, ne consegue che gli interessi della collettività e quelli del governo cinese sono la stessa identica cosa. Una simile sovrapposizione in Occidente, almeno a partire dalla fine del XVIII secolo, se si escludono i regimi dell’Europa orientale gravitanti attorno al Patto di Varsavia e il nazionalsocialismo, non c’è mai stata in tempi di ordinaria democrazia. Ma nonostante nell’immaginario collettivo dell’Occidente società, collettività, governo e Stato siano stati per secoli percepiti come entità ben distinte tra loro, noi in Italia abbiamo potuto essere testimoni nell’arco di un anno a una loro parziale identificazione. Questo processo di sovrapposizione tra Stato e società è stato innescato, o meglio accelerato, dall’emergenza Covid-19, al punto che oggi anche in Europa, in particolare in Italia, si è affermato un modello collettivista nella gestione dei rapporti tra Stato, società e singoli cittadini. La carta costituzionale, che stabilisce un’armonia tra gli interessi dei cittadini e quelli della collettività con una serie di principi e di norme che fanno sì, almeno su di un piano ideale, che gli uni non prevalgano sugli altri, ma che ci sia un costante equilibrio omeostatico tra di essi, oggi non e più sufficiente a garantire il rispetto del suo dettato. Se così non fosse, non assisteremo settimana dopo settimana, mese dopo mese, ad una violazione continua del dettato costituzionale in materia di libertà e diritti civili dei singoli cittadini.
L’emergenza Covid-19 ha dato ai governi Conte e Draghi il pretesto per sospendere in una bolla totalitaria le libertà costituzionalmente sancite, avvalendosi del principio deviato secondo cui in questa particolare congiuntura storica gli interessi della collettività devono prevalere su quelli del singolo cittadino. In uno scenario così illegale sotto il profilo giuridico, ci si deve chiedere se il richiamo alla Costituzione possa ancora fungere da punto di riferimento, da conditio sine qua non per salvaguardare uno Stato di diritto che sta cadendo a pezzi, oppure se sia necessario trovare altri punti di riferimento, altri orizzonti di senso che possano in qualche modo “fare siepe” attorno all’idea tradizionale di libertà il cui valore indiscutibile viene attentato in ogni momento da centrali di potere che hanno tutto l’interesse a degradarne la portata e il significato.
A parere di chi scrive, per salvare l’idea di libertà è possibile trovare ancoraggi di carattere diverso da quello prettamente giuridico. Uno di essi è sicuramente quello metafisico. Entriamo, dunque, nel campo della filosofia per tentare di ridare valore all’idea di libertà, ma soprattutto per blindarla sul piano dell’argomentazione razionale contro eserciti barbarici di politicanti, operatori dell’informazione e intellettuali da salotto televisivo che vorrebbero, invece, ridurla a un reperto archeologico da museo.
Innanzitutto, sul piano filosofico il caposaldo da cui deve partire ogni riflessione sulla libertà è che l’idea di libertà è innata nell’essere umano. Come tutte le altre idee, secondo la Tradizione, avendo essa origine nel mondo divino, fa parte del bagaglio con cui l’anima ritorna nel mondo fisico per fare nuove esperienze incarnandosi in nuovi corpi. Ne deriva che se molti esseri umani non riconoscono più l’idea di libertà dentro di sé, è perché è avvenuta una mutazione antropologica in loro, anzi, una degenerazione della loro essenza, che ha portato ad una corruzione del concetto stesso di libertà.
Ecco perché questa controrivoluzione politica e culturale, conosciuta come mondialismo, è la più pericolosa di tutte le controrivoluzioni finora attuate. Essa va a sovvertire il bagaglio ideale con cui l’anima viene al mondo. Se non si capisce questo, non si può avere speranza di resistere all’attacco che il mondialismo sta sferrando all’umanità. Non si può nemmeno realizzare verità come la profonda ingiustizia insita nell’obbligo di indossare per ore una inutile e sudicia mascherina e di stare distanti da parenti e amici in nome dell’idea, tutta terrena e per niente trascendente, di una fasulla profilassi sanitaria.
Ciò che va ripristinata è l’idea dell’eternità dell’idea di libertà, che non è un fare ciò che si vuole, ma preservare la dignità dell’essere umano e difenderla contro chi vuole calpestarla. Ma fino a quando le persone continueranno a percepirsi non come esseri umani ma come sudditi di un potere deviato che mina alla radice l’intoccabilità dell’idea di libertà, temo che non basteranno gli appigli legislativi, che pur costituendo dal punto di vista giuridico un’ottima base di partenza in difesa dell’idea di libertà, si sono rivelati di fatti deboli, se non evanescenti. Ecco perché chi scrive pensa che per ripristinare in Italia, e nel resto del mondo, uno Stato di diritto che non sia una mera concessione ad orologeria da parte élites al potere, sia indispensabile riscoprire il sostrato metafisico dell’idea di libertà. Farlo nella sua completezza esula, per ragioni di spazio, dagli scopi di questo articolo. Tuttavia è possibile fornire qualche spunto di riflessione in tale direzione.
In questo contesto accennerò brevemente alla dottrina metafisica della libertà dell’anima in Platone quale è esposta nel X libro del suo capolavoro, La
Repubblica. In quest’opera, il filosofo greco avvalendosi di un mito, il Mito di Er – Platone quando vuole introdurre nei suoi scritti nuove dottrine ricorre sovente a dei racconti mitici da lui stesso inventati – spiega l’origine metafisica della libertà umana, dove per “metafisica” si intende un mondo, una dimensione o comunque uno stato di coscienza più elevato rispetto a quello fisico o materiale, quello cioè che può essere colto solo attraverso i sensi. In questo mito viene infatti narrato come le anime, prima di reincarnarsi, cioè di tornare sulla Terra con nuovi involucri corporei – l’anima per Platone e per tutto il pensiero classico è un principio immortale, a differenza del corpo destinato a decomporsi – scelgono le loro vite future. Se si pensa che nel pensiero tradizionale greco preesistente, a parte in qualche pensatore d’eccezione come Eraclito e Socrate, era sconosciuta l’idea di una vita libera in quanto si credeva che ogni vita umana fosse sottoposta al Fato, cioè a una sorta di destino irrevocabilmente deciso dagli déi, possiamo comprendere meglio la portata rivoluzionaria della dottrina platonica della libertà delle anime. In sostanza, ciò che viene affermato nel X libro della Repubblica è che non sono gli déi a decidere la vita del futuro essere umano, ma è la sua anima a scegliere liberamente tra una serie di paradèigma, termine greco con cui Platone si riferisce ai diversi modelli di vita proposti all’anima prima di riprendere un corpo e tornare sulla Terra per continuare il suo percorso di evoluzione spirituale. Dunque, se per Platone l’essere umano non è libero di scegliere se vivere o non vivere, a lui è data la libertà di come vivere. E su questo punto Platone prospetta due grandi scelte di fondo che l’anima è chiamata a fare: vivere secondo virtù, cioè vivere secondo un proprio codice più o meno etico a seconda del grado di coscienza sviluppato dalla singola anima nel corso delle vite già vissute, oppure vivere secondo il vizio, cioè vivere in balia delle passioni e delle pulsioni più basse. Scrive Platone nel X Libro della Repubblica: «Anime caduche, eccovi giunte ad un altro ciclo di vita di genere mortale, in quanto si conclude con la morte. Non sarà il demone a scegliere voi, ma voi il demone. Non ha padroni la virtù; tanto più ciascuno di voi l’onora quanto più ne avrà; quanto meno l’onora tanto meno ne avrà. La responsabilità, pertanto, è di chi sceglie. Il Dio non ne ha colpa». Puntualizza Platone che ciascun individuo è padrone del proprio destino, compatibilmente con le condizioni in cui si trovare a ri-nascere. Più avanti nel testo Afferma Platone che anche il più disgraziato tra gli esseri umani nasce libero se seguire o meno una vita virtuosa o una vita viziosa. In tempi deviati come quelli che stiamo vivendo, in cui la sudditanza a poteri disumani è scambiata per cittadinanza, è essenziale ribadire che ogni essere umano nasce con una irrinunciabile vocazione alla libertà e che tale vocazione è anche alla base della dignità della sua anima. In questo senso non esiste guerra, pandemia, crisi economica o altra catastrofe che possa mettere in discussione una tale verità metafisica. Se pensiamo all’assurdità delle misure anti-contagio che da un anno sono calate dall’alto come vere e proprie imposizioni che umiliano la dignità umana, con quale coraggio possiamo ancora parlare di libertà in un sistema politico che assomiglia sempre di più a una dittatura sudamericana? Eppure, ci avverte Platone, né il destino né la divinità, al di là di come essi possano essere concepiti, ha colpa dello stato di mortificazione in cui versa l’essere umano. La colpa è solo sua, della sua incapacità di spezzare dentro di lui le catene del fatalismo.
Tornando al presente, non c’era alcuna necessità contingente, solo per fare un esempio tra i tanti, di imporre il coprifuoco. Si tratta di una misura di profilassi inutile e, data la sua inefficacia allo scopo di prevenire il contagio, si configura nient’altro che come un abuso sul piano giuridico e come un attentato alla dignità umana sul piano metafisico. Essa è solo uno dei tanti sotterfugi con cui le élites mondialiste vogliono preparare l’umanità ad accettare passivamente il Grande Reset.
Il Grande Reset non è solo un piano sulfureo di riconversione del mondo calibrata sui disvalori della digitalizzazione di tutto l’esistente e sull’accentramento dell’economia nelle mani di pochi colossi finanziari. Esso è anche un piano di trasmutazione dell’uomo da essere metafisico a essere meccanico, un automa ipercontrollato dalla tecnologia privo della coscienza della sua natura libera, libera non perché qualcuno qui sulla Terra ha deciso che deve esserla, ma perché profondamente radicata in lui. Ed è proprio perché i maghi neri del mondialismo sanno che alla fine la natura intrinsecamente libera non può essere sradicata dall’uomo, neanche facendo cadere sulla testa dell’umanità cento ordigni nucleari o creando in laboratorio altre mille diavolerie virali, essi cercano incessantemente con ogni mezzo di pervertire l’idea di libertà che, va ulteriormente ribadito, non va concepita in senso assolutistico come anarchia, disordine e dissoluzione. L’essere umano, purtroppo, è libero di compiere anche il male, ma non è libero di negare a se stesso di essere libero. È su questo piano che si gioca la vera partita tra le forze sulfuree, in questo secolo incarnate dal mondialismo, e le forze della Verità, incarnate da quei pochi esseri umani che decidono coscientemente di non allinearsi a una narrazione distopica della realtà che il filosofo francese Jean Baudrillard ha magistralmente definito un simulacrum. È simulacro ogni realtà distorta o irrealtà inventata che occulta la vera essenza delle cose. La pandemia Covid-19 è anch’essa un simulacro in quanto occulta le vere ragioni che stanno dietro alle misure di distanziamento sociale. Quali sono queste ragioni? Essenzialmente creare un’umanità alienata, una batteria di replicanti alla Blade Runner. Ma dal simulacrum o caverna platonica che dir si voglia, è possibile uscirne stando nel qui e ora vigili e con il proprio discernimento operante. Basta connettersi a quella voce interiore che la Tradizione, sia in Occidente che in Oriente, chiama anima o Atman. Chi attiva dentro di sé tale principio superiore è al riparo dal transumanesimo, che è lo strumento ideologico attraverso cui le élites al potere perseguono il fine del tutto illusorio di distruggere l’anima. Alla fine, del resto, non sono proprio i replicanti che nel film succitato si ribellano ai loro creatori mostrandosi più umani di loro?