Il distanziamento sociale, nuovo mantra generazionale, è il vero pilastro della riorganizzazione “pandemica”. Tutto ciò, coadiuvato dall’ascesa di una tecnologia sempre più “evoluta” ed imperante, ha creato una società “non sociale”, dove l’uomo è atomo, immune e distanziato, che si muove e comunica soltanto attraverso dispositivi digitali ammessi dal potere. La pandemia è quindi in primis trasformazione: essa è una porta d’accesso, un passaggio a livello verso una nuova era post umana, fatta di individui che non dispongono più neanche del proprio corpo, che pascolano nel recinto ad hoc costruito. L’emergenza in tutto ciò gioca un ruolo fondamentale. Essa porta con sé l’accumularsi di norme così dette “emergenziali”, che con il procrastinarsi all’infinito della stessa, divengono inevitabilmente normalità. Il passaggio dallo straordinario all’ordinario è perciò spaventoso. Ciò che dovrebbe essere limitato e circoscritto nel tempo, diviene consuetudine, universalmente accettato, parte della vita. Una resa incondizionata, colma di riconoscimento nei confronti di chi millanta di salvare l’umanità da morte certa. La crisi sanitaria, derivata dal nuovo terribile patogeno arrivato dall’oriente, è dunque un acceleratore. È solo il mezzo per l’instaurarsi ed il consolidarsi di un nuovo ordine, dove l’essere umano metterà in lockdown perpetuo la sua natura, sviluppandosi ed estrinsecandosi essenzialmente nel pollaio digitale all’uopo edificato dall’autorità, imboccato dal padrone e silenziato in maniera inappellabile se il controllore lo riterrà opportuno. Chi vede del “complottismo” in tutto questo è già stato resettato. Ha già accettato la sua condizione di animale da cortile. Ha conferito, intimamente, più valenza alla sua dimensione virtuale che a quella fisico-spirituale diventando così, senza resistenza alcuna e col sorriso dietro la mascherina, a pieno titolo il “non uomo” dell’avvenire.
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